Viareggio Cup, Torneo di Viareggio, Coppa Carnevale, World Football Tournament

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Il record di Daniele Giraldi: 3 finali e tanti ricordi. «Che bello lo stadio dei Pini pieno di tifosi viola»

Il record di Daniele Giraldi: 3 finali e tanti ricordi. «Che bello lo stadio dei Pini pieno di tifosi viola»

La storia della Viareggio Cup, già Coppa Carnevale, ci consegna un personaggio d’eccezione, un giocatore che è una pietra-miliare – assieme ad altri tre – della manifestazione, perché ha preso parte a tre finali, una vincendola e due perdendole, con la maglia della Fiorentina: Daniele Giraldi. Per la cronaca, il ristretto gruppo comprende anche Luci (Juventus), Mercuri (Torino) e Muzzi (Roma). Daniele da tempo ha chiuso con il calcio giocato. Ora allena con passione ed entusiasmo, ricordando con un pizzico di nostalgia Viareggio, la Fiorentina e i gol allo stadio dei Pini (ne ha segnati complessivamente 13, come Banchelli, uno in meno di Immobile e Cappellaro, che con 14 guidano la classifica dei cannonieri di tutti i tempi).

Sei uno dei quattro giocatori che ha disputato il maggior numero di finali del torneo di Viareggio: che effetto ti fa questo record?

«Vi ringrazio di questa segnalazione, essere uno dei giocatori con il maggior numero di finali all’attivo mi fa enormemente piacere perché a livello di settore giovanile la Viareggio Cup è sempre una gran bella vetrina».

Un ricordo per ognuna delle tre finali?

«La prima risale al 1992 contro la Roma, vinta 3-2: in quella partita segnai il primo gol e procurai il rigore del 2-1 realizzato da Banchelli. Ricordo una gradinata piena di tifosi viola che ci incitarono per tutta la gara. E anche alla premiazione, la commozione mista a gioia del presidente Mario Cecchi Gori. La finale del 1994 è un brutto ricordo perché era stato introdotta la regola del golden gol e un certo Alessandro Del Piero ci condannò ai tempi supplementari alla sconfitta… Nel 1995 ero in prestito al Cosenza serie B e l’allora allenatore della Primavera viola Luciano Chiarugi mi chiamò come fuori quota, chiedendomi se potevo dare un po’ di esperienza al gruppo. Non me lo feci dire due volte, accettai subito. Il cammino per la finale fu molto prolifico per me perché riuscii a siglare 7 gol, ma poi perdemmo la finale ai rigori con il Torino».

La tua carriera non è decollata in serie A: hai qualcosa da rimproverarti?

«Le mie aspettative e speranze erano quelle di poter giocare in serie A, purtroppo però nel 1993 ebbi un grave infortunio al ginocchio con la rottura del crociato anteriore. Faticai parecchio per tornare e a livello psicologico accusai molto il colpo…».

Com’è cambiato il calcio a livello di Primavera rispetto a quando ci giocavi tu?

«Sono cambiate tante cose ma per elencarle tutte non basterebbe una giornata intera: in primis, il numero esagerato di stranieri e purtroppo anche la cultura generale, perché ai miei tempi si ascoltava
e si rispettava gli insegnamenti dei nostri allenatori e dirigenti».

Continui ad essere nel mondo del calcio?

«Si sono nel mondo del calcio, dopo aver preso il patentino di Uefa B nel 2013 ho iniziato ad allenare, adesso sono nelle giovanili del Ghivizzano Borgoamozzano, società che milita in serie D».

Nell’estate del 1991, la maglia della Nazionale Under 17, i mondiali in Toscana, l’incontro con Pelé…

«Anche questo è un ricordo indelebile: vestire la maglia azzurra è una emozione forte perché rappresenti l’intera nazione e poi stringere la mano a Pelé è stato e rimarrà un momento indimenticabile. Conservo gelosamente una foto che mi ritrae con lui».

Il momento più bello del tuo percorso nel calcio? E il meno bello?

«Il più bello e stato l’esordio in seria A nel 1991 a Torino, quando Gigi Radice mi disse di entrare in campo. Quello più brutto risale al 1993, con la rottura del crociato del ginocchio sinistro in Ungheria con la Nazionale under 18».

Un allenatore che ricordo con piacere? E chi non vorresti più incontrare (se c’è…)

«Ho avuto la fortuna di avere molti allenatori di grosso spessore tecnico e umano. Vi cito alcuni nomi: Gigi Radice, Claudio Ranieri, Corrado Orrico, Maurizio Viscidi. Li ricordo tutti perché da ognuno
di loro ho cercato di captare gli insegnamenti, in primis il valore e il rispetto dello sport più bello del mondo».

Un aneddoto sconosciuto che ti ha visto protagonista.

«In tutta franchezza non ne ho».

Il compagno di squadra al quale sei rimasto più legato?

«Ho legato con molti miei ex compagni, che tuttora sento ancora con grande piacere».

Il Torneo di Viareggio soffre la concorrenza della Youth League: come può trovare il modo di essere ancora un traguardo importante per i giovani?

«La Youth League è diventata una vetrina importante La Viareggio Cup lo è altrettanto, anche se la concorrenza è spietata. Ritengo interessante l’apertura verso squadre dei paesi emergenti a cominciare
da quelli africani».

L’ultimo pensiero in libertà.

«Spero e mi auguro che i giovani di oggi ritrovino la passione, la volontà e l’amore per questo gioco e non per le cose superflue che la società propone loro giornalmente, come Facebook, Tik Tok e in genere i social. Grazie per l’intervista e per avermi riportato agli anni della mia gioventù».



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